La Kelvingrove Art Gallery and Museum di Glasgow conserva nelle sue collezioni un paio di mocassini e un copricapo da bambino, e una collana di ossa di cervo appartenuta a un guerriero, che furono presi dal campo Sioux di Wounded Knee dopo il massacro del 29 dicembre 1890 ad opera dell’esercito degli Stati Uniti. Questi oggetti furono venduti al museo, nel 1892, dall’interprete di lingua Sioux George Crager, che si trovava a Glasgow con il Buffalo Bill’s Wild West Show. Il museo aveva acquistato da Crager anche una camicia utilizzata per la cerimonia della Ghost Dance che, dopo anni di trattative guidate dalla ora defunta attivista Lakota Marcella LeBeau (Cheyenne River Sioux), fu restituita alla tribù nel 1998. LeBeau era membro della Wounded Knee Survivors Association, un gruppo di discendenti dei Sioux di Wouded Knee e una figura di spicco del movimento che ancora chiede al Congresso degli Stati Uniti di revocare le medaglie d’onore assegnate ai 20 soldati che rimasero uccisi durante il massacro.
Secondo i responsabili del museo, per ragioni sconosciute, gli altri tre oggetti non furono richiesti e rimasero a Glasgow. Tuttavia, Charles New Holy, attuale presidente dell’associazione dei sopravvissuti, afferma che LeBeau stava in realtà negoziando la restituzione di tutti gli oggetti, prima che morisse lo scorso novembre, all’età di 102 anni. Sostiene anche che la camicia da Ghost Dance e i tre oggetti ancora a Glasgow dovrebbe entrare in possesso della Wounded Knee Survivors’ Association piuttosto che del governo tribale di Pine Ridge, a cui il museo consegnò la camicia. Secondo Holy: “Quegli oggetti appartengono ai nostri nonni e nonne – il loro spirito è ancora collegato a loro – ma le persone vedono in loro prestigio e denaro. Questi sono oggetti spirituali che non dovrebbero essere esposti da nessuna parte”.
Sebbene tali casi di rimpatrio siano protetti negli Stati Uniti ai sensi del Native American Graves Protection and Repatration Act, che richiede alle istituzioni finanziate dal governo federale di inventariare le scorte di oggetti indigeni e resti umani per facilitarne la restituzione, non esiste un alcun accordo tra il governo statunitense e altri stati stranieri, lasciando alla discrezione di ciascun museo le scelte da compiere.
L’ultimo caso di restituzione degno di nota da parte di un’istituzione non statunitense ha coinvolto il Museo Karl May, un museo tedesco intitolato a un romanziere che accumulò una vasta collezione di manufatti indigeni nel XIX secolo, fra cui 17 scalpi appartenenti a membri della tribù Ojibwe. Una richiesta di restituzione fu presentata nel 2014, ma il museo ha esitato molto prima di restituire gli scalpi, temendo che ciò avrebbe costituito un precedente. Alla fine il consiglio di amministrazione del museo accettò di consegnare gli scalpi non alla tribù Ojibwe ma al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, non riconoscendo la tribù come nazione sovrana. In seguito il Dipartimento di Stato americano consegnò gli scalpi dei loro antenati agli Ojibawe non in quanto legittimi proprietari degli stessi ma solo come custodi, con facoltà di custodirli in qualunque luogo la tribù avesse deciso. La tribù li seppellì.