Un rapporto federale sostiene il salvataggio di Oak Flat

Un nuovo rapporto del Bureau of Land Management degli Stati Uniti espone la devastazione pianificata di cultura, acqua e ambiente al sito sacro di Oak Flat.

Il rapporto descrive in dettaglio le minacce culturali e ambientali poste dal piano dell’amministrazione Biden di trasferire Oak Flat a una compagnia mineraria di proprietà straniera. Il rapporto aggiunge ulteriori prove a sostegno dello sforzo dei membri della tribù di difendere il loro sacro sito religioso in Apache Stronghold c. Stati Uniti, un caso attualmente presso la Corte d’Appello del Nono Circuito.

Per oltre sei decenni, Oak Flat è stata protetta dal governo federale da attività minerarie e altre pratiche che renderebbero la terra sacra inutilizzabile per le pratiche religiose degli Apache. Ma nel 2014, il governo americano ha proposto di cedere Oak Flat alla Resolution Copper, una compagnia mineraria di proprietà straniera che prevede di trasformare il sito sacro in un cratere largo due miglia e profondo 1.100 piedi. Lo scorso giugno, due giudici del Nono Circuito si sono rifiutati di proteggere Oak Flat da questa distruzione. L’intera Corte sta ora valutando se riaprire il caso nelle prossime settimane.

La corte d’appello federale dà il via libera alla distruzione della terra sacra degli Apache

Il Nono Circuito Diviso ignora la legge sulla libertà religiosa e dice che la miniera di rame può distruggere Apache Oak Flat. La terra sacra dei nativi americani è sul patibolo dopo che la Corte d’Appello del Nono Circuito ha rifiutato oggi di proteggere Oak Flat da una compagnia mineraria di proprietà straniera. In una decisione 2-1, che il giudice dissenziente Marsha Berzon ha definito “assurda”, “illogica”, “falsa” e “incoerente”, la Corte ha stabilito che la decisione del governo di trasferire Oak Flat alla Resolution Copper non grava sostanzialmente sulle pratiche religiose degli Apache, anche se la miniera inghiottirà il luogo sacro in un enorme cratere, ponendo fine a quelle pratiche per sempre. Apache Stronghold, una coalizione di Apache, altri popoli nativi e alleati non nativi, rappresentata dal Becket Fund for Religious Liberty, ha promesso di appellarsi alla Corte Suprema degli Stati Uniti.

“Oak Flat è come il Monte Sinai per noi, il nostro luogo più sacro in cui ci connettiamo con il nostro Creatore, la nostra fede, le nostre famiglie e la nostra terra”, ha affermato il dottor Wendsler Nosie, Sr. di Apache Stronghold. “È un luogo di guarigione che è sacro da molto prima che gli europei arrivassero in questo continente. I miei figli, i miei nipoti e le generazioni successive meritano di mettere in pratica le nostre tradizioni a Oak Flat”.

Conosciuto in Apache come Chi’chil Biłdagoteel, Oak Flat è stato protetto dagli interessi minerari per più di sei decenni ed è iscritto nel registro nazionale dei luoghi storici. Gli Apache occidentali e altre tribù hanno adorato a Oak Flat da tempo immemorabile e ancora oggi vi si recano per raccogliere piante medicinali, visitare sorgenti sacre e condurre cerimonie essenziali come la Cerimonia dell’Alba per la maggiore età per le donne Apache.

Le protezioni di lunga data per Oak Flat sono state eliminate nel 2014, quando il governo degli Stati Uniti ha deciso di trasferire il terreno a Resolution Copper, una società mineraria di proprietà straniera. La miniera di Resolution Copper inghiottirà il sito in un cratere largo 2 miglia e profondo 1.100 piedi, rendendo impossibili le pratiche religiose e devastando lo stile di vita degli Apache.

“La decisione odierna è, come dice il dissenso, ‘assurda’, ‘illogica’ e ‘incoerente’: se qualcosa viola il libero esercizio della religione, è la completa distruzione di un luogo sacro che pone fine alle pratiche religiose per sempre, ” ha affermato Luke Goodrich, vicepresidente e consulente senior di Becket. “Questa sentenza non solo è devastante per gli Apache e altri nativi americani, ma minaccia anche persone di tutte le fedi”.

L’appello di Apache Stronghold alla Corte Suprema degli Stati Uniti è previsto per il 22 settembre 2022.

Attivisti Nativi Americani chiedono la restituzione di manufatti Sioux a un museo in Scozia

La Kelvingrove Art Gallery and Museum di Glasgow conserva nelle sue collezioni un paio di mocassini e un copricapo da bambino, e una collana di ossa di cervo appartenuta a un guerriero, che furono presi dal campo Sioux di Wounded Knee dopo il massacro del 29 dicembre 1890 ad opera dell’esercito degli Stati Uniti. Questi oggetti furono venduti al museo, nel 1892, dall’interprete di lingua Sioux George Crager, che si trovava a Glasgow con il Buffalo Bill’s Wild West Show. Il museo aveva acquistato da Crager anche una camicia utilizzata per la cerimonia della Ghost Dance che, dopo anni di trattative guidate dalla ora defunta attivista Lakota Marcella LeBeau (Cheyenne River Sioux), fu restituita alla tribù nel 1998. LeBeau era membro della Wounded Knee Survivors Association, un gruppo di discendenti dei Sioux di Wouded Knee e una figura di spicco del movimento che ancora chiede al Congresso degli Stati Uniti di revocare le medaglie d’onore assegnate ai 20 soldati che rimasero uccisi durante il massacro.

9858ec74fdb186436fafb45bdd7de7a0d6ecffad-1600x1196

Secondo i responsabili del museo, per ragioni sconosciute, gli altri tre oggetti non furono richiesti e rimasero a Glasgow. Tuttavia, Charles New Holy, attuale presidente dell’associazione dei sopravvissuti, afferma che LeBeau stava in realtà negoziando la restituzione di tutti gli oggetti, prima che morisse lo scorso novembre, all’età di 102 anni. Sostiene anche che la camicia da Ghost Dance e i tre oggetti ancora a Glasgow dovrebbe entrare in possesso della Wounded Knee Survivors’ Association piuttosto che del governo tribale di Pine Ridge, a cui il museo consegnò la camicia. Secondo Holy: “Quegli oggetti appartengono ai nostri nonni e nonne – il loro spirito è ancora collegato a loro – ma le persone vedono in loro prestigio e denaro. Questi sono oggetti spirituali che non dovrebbero essere esposti da nessuna parte”.

Sebbene tali casi di rimpatrio siano protetti negli Stati Uniti ai sensi del Native American Graves Protection and Repatration Act, che richiede alle istituzioni finanziate dal governo federale di inventariare le scorte di oggetti indigeni e resti umani per facilitarne la restituzione, non esiste un alcun accordo tra il governo statunitense e altri stati stranieri, lasciando alla discrezione di ciascun museo le scelte da compiere.

Screen-Shot-2022-02-14-at-11.17.30-AML’ultimo caso di restituzione degno di nota da parte di un’istituzione non statunitense ha coinvolto il Museo Karl May, un museo tedesco intitolato a un romanziere che accumulò una vasta collezione di manufatti indigeni nel XIX secolo, fra cui 17 scalpi appartenenti a membri della tribù Ojibwe. Una richiesta di restituzione fu presentata nel 2014, ma il museo ha esitato molto prima di restituire gli scalpi, temendo che ciò avrebbe costituito un precedente. Alla fine il consiglio di amministrazione del museo accettò di consegnare gli scalpi non alla tribù Ojibwe ma al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, non riconoscendo la tribù come nazione sovrana. In seguito il Dipartimento di Stato americano consegnò gli scalpi dei loro antenati agli Ojibawe non in quanto legittimi proprietari degli stessi ma solo come custodi, con facoltà di custodirli in qualunque luogo la tribù avesse deciso. La tribù li seppellì.

La siccità salverà Oak Flat?

Durante questo 2021 abbiamo pubblicato diversi articoli relativi alla battaglia degli Apache per la salvaguardia di Oak Flat, uno dei loro luoghi sacri minacciato da un progetto di estrazione di rame. Gli Apache credono, infatti, che Oak Flat sia un “luogo benedetto” dove abitano Ga’an, guardiani o messaggeri tra la gente e Usen, il creatore.

Riprendiamo l’argomento sottolineando che, come spesso accade, la sacralità di un luogo non è ritenuta motivo sufficiente di protezione da chi ritiene che il sacro possa e debba essere confinato entro le mura di una chiesa. Ben sapendo che parlare di sacralità con chi di sacro conosce solo il denaro è spesso inutile, il Consiglio tribale della San Carlos Apache Tribe ha recentemente incaricato la società di consulenza ambientale L. Everett & Associates, che ha sede a Santa Barbara, in California, di effettuare uno studio sull’impatto che la progettata miniera di rame avrebbe sull’ambiente. Dallo studio, denominato The Proposed Resolution Copper Mine e Arizona’s Water Future, è emerso che l’enorme miniera, che verrebbe scavata sui monti Pinal, 60 miglia a est di Phoenix (Arizona), consumerebbe l’acqua sufficiente a rifornire per 40 anni una città di 140.000 persone. Si tratterebbe di migliaia di miliardi di litri di acque sotterranee sottratte agli usi civili proprio mentre l’Arizona deve affrontare riduzioni senza precedenti dell’approvvigionamento idrico di superficie causate dai cambiamenti climatici. Il potenziale massiccio prelievo di acque sotterranee necessarie per la coltivazione della miniera avverrebbe proprio quando le riserve idriche superficiali dell’Arizona vengono drasticamente ridotte. Infatti, il mese scorso, i gestori idrici federali hanno ridotto la quota d’acqua del fiume Colorado destinata all’Arizona. Questa prima riduzione colpisce principalmente gli agricoltori, ma le probabili riduzioni future colpiranno anche le aree urbane, facendo anche aumentare il costo della risorsa acqua.90

Un componente della L. Everett & Associates ha testimoniato davanti al Congresso sugli impatti profondi e di vasta portata della progettata miniera di rame sulle falde acquifere sotterranee della pianura desertica confinante con i monti Pinal. La relazione indica che i pozzi privati nella contea di Pinal si stanno già prosciugando a causa della siccità e ha sottolineato la gravità degli impatti che ciò sta già avendo sulla Tonto National Forest e sulle falde acquifere nelle vicinanze del sito della miniera. Inoltre la miniera esaurirebbe la falda acquifera di Apache Tuff che rifornisce i torrenti della zona. E poiché, come per tutte le operazioni minerarie in Arizona, anche questa miniera sarebbe esente dalle normative statali sul prelievo delle acque sotterranee, la miniera potrebbe teoricamente pompare una quantità d’acqua illimitata.

A questo punto gli Apache sperano che la proposta di legge denominata Save Oak Flat Act sia approvata dalla Camera dei Rappresentanti al più presto. Nell’attesa gli attivisti di Apache Stronghold, un’organizzazione no-profit che lavora per proteggere il sito sacro di Oak Flat, stanno preparando un convoglio spirituale diretto a San Francisco, dove un tribunale ascolterà un appello che il gruppo ha presentato per impedire che la terra di Oak Flat sia trasferita alla Resolution Copper, la società di proprietà del gigante minerario anglo-australiano Rio Tinto che è interessata allo sviluppo della miniera di rame. I membri di Apache Stronghold prenderanno parte sabato 9 ottobre a una giornata di preghiera a Oak Flat prima di incontrare i leader della Tohono O’odham Nation, che offriranno una benedizione e una preghiera per il loro viaggio che inizierà il 13 ottobre ed effettuerà diverse soste per incontrare le comunità dei nativi americani e i leader religiosi dei Salt River Pima-Maricopa, vicino a Phoenix; dei Wishotoyo Chumash, nella regione di Los Angeles; e la colonia indiana Elem degli indiani Pomo; prima dell’udienza californiana del 22 ottobre.AP4476325276530220

Primi risultati del censimento americano. Gli Indiani d’America sono 9,6 milioni

Iniziano a essere pubblicati i dati del censimento generale della popolazione effettuato negli Stati Uniti nel 2020.

Il Census Bureau ha ricordato che i dati raccolti si basano sull’auto identificazione razziale ed etnica delle persone. Noi ricordiamo che gli Stati Uniti d’America si distinguono, unici fra tutti i paesi del cosiddetto occidente, per la classificazione razziale della loro popolazione.

Fra le altre finalità, i dati demografici sono utilizzati per ridisegnare i 429 distretti della Camera degli Stati Uniti in 44 stati e 7.383 distretti legislativi statali. Gli stessi dati servono anche per determinare l’entità delle risorse destinate ai programmi federali relativi agli indiani e per questo moltissimi leader tribali fecero una campagna insistente per convincere quanti più indiani possibile a rispondere alle domande del censimento, e il risultato è stato notevole.

A fronte della popolazione degli Stati Uniti che risulta essere di 331 milioni, con un incremento del 7,4 % sul 2010, la popolazione indiana americana e dei nativi dell’Alaska è aumentata dai 5,2 milioni censiti nel 2010 ai 9,6 milioni del 2020, con un aumento dell’86,5%. Questo fa sì che gli indiani d’America e i nativi dell’Alaska rappresentino oggi il 2,9% del totale. Un incremento di così ampia portata non può spiegarsi solo con il naturale incremento demografico. Come accade da diversi anni, sempre più persone percepiscono la propria identità indigena come un valore di cui essere fieri e, di conseguenza, manifestano questo stato d’animo auto dichiarandosi indiani.

Più in dettaglio:

– 3,7 milioni di persone si sono identificate unicamente come indiani d’America e nativi dell’Alaska.

– 5,9 milioni di persone si sono identificate come indiani d’America e nativi dell’Alaska in combinazione con un’altra razza o con più razze.

Il numero di persone che si sono identificate come bianchi, indiani d’America e nativi dell’Alaska è cresciuto da 1,4 milioni del 2010 a 4 milioni nel 2020.

I nativi hawaiani, da soli e in combinazione con altre razze, sono risultati essere 1,6 milioni.

Oggi gli indiani d’America e i nativi dell’Alaska da soli, cioè non in combinazione con altre razze, sono, dopo i bianchi, il secondo gruppo razziale più grande in diversi stati:

– Alaska – 14,8%

– Sud Dakota – 8,4 %

– Montana – 6,6 %

– Nord Dakota – 4,8 %

L’inizio di una nuova era?

Pochi giorni dopo che Deb Haaland ha assunto la sua carica di Segretaria degli Interni, il suo Dipartimento ha annullato una decisione dell’amministrazione Trump con cui era stato stabilito che una parte del fiume Missouri era sotto la giurisdizione dello stato del Nord Dakota piuttosto che facente parte di una riserva dei nativi americani.

P1120138

Pow-wow a Fort Berthold (2013 – foto Galanti)

L’Amministrazione Trump aveva deciso che la parte del fiume Missouri che scorre attraverso la Fort Berthold Indian Reservation era sotto la giurisdizione dello Stato piuttosto che quella delle nazioni Mandan, Hidatsa e Arikara, le tre tribù affiliate che vivono nella riserva.

La precedente amministrazione aveva ribaltato una decisione risalente al 1936 secondo cui, in base ai trattati, l’alveo del fiume Missouri apparteneva alle nazioni Mandan, Hidatsa e Arikara.

P1120075

Pow-wow a Fort berthold (2013 – foro Galanti)

I diritti delle nazioni Mandan, Hidatsa e Arikara sul letto del fiume Missouri che attraversa la riserva sono stati riaffermati e non dovrebbero esserci più dubbi sulla validità delle argomentazioni indiane e il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati non dovrebbe dipendere da chi siede al governo degli Stati Uniti.