Una cometa potrebbe aver estinto una cultura dei Nativi Americani

Più di 1500 anni fa, una vasta cultura indigena nota come tradizione o cultura Hopewell esisteva in quelli che oggi sono gli Stati Uniti orientali. La causa del declino di quella cultura è stata a lungo dibattuta, ipotizzando cause come la guerra e il cambiamento climatico, ma ora si è aperta una nuova strada di indagine.02-Hopewell-Core-Map-NPS-1-960x628I ricercatori che lavorano in 11 diversi siti archeologici della cultura di Hopewell, in tre diversi stati, hanno trovato concentrazioni insolite di iridio e platino, segni rivelatori di frammenti di meteorite, durante gli scavi. Uno strato di carbone nel sedimento suggerisce anche un momento d’intenso calore. L’ipotesi principale è che i detriti di una cometa di passaggio possano essere caduti vicino alle comunità degli Hopewell nella valle dell’Ohio, provocando un’esplosione aerea che avrebbe avuto effetti profondi e potenzialmente devastanti sull’ambiente locale. L’esplosione della cometa avrebbe anche provocato incendi su circa 23.828 chilometri quadrati di territorio. Questa ipotesi spiegherebbe perché nei gioielli e negli strumenti degli Hopewell di quel tempo furono inseriti frammenti di meteorite.national-archives-photograph-rg77-144_20-millfordCi sono anche altri indizi: gli Hopewell hanno costruito un tumulo a forma di cometa vicino all’epicentro della regione delle piogge di meteoriti, che oggi è chiamato Milford Earthworks. Inoltre, tra le tribù formate dai loro discendenti si parla ancora oggi di un evento calamitoso che risale alla loro storia più remota. Ad esempio i Miami raccontano di un ‘serpente cornuto’ che volò attraverso il cielo e lasciò cadere rocce sulla terra prima di precipitare nel fiume. Gli Shawnee si riferiscono a una ‘pantera del cielo’ che aveva il potere di abbattere le foreste. Gli Ottawa parlano di un giorno in cui ‘il Sole cadde dal cielo’.

I micrometeoriti rilasciati in eventi di questo tipo hanno chiare impronte chimiche, affermano i ricercatori. Eventi cosmici come asteroidi ed esplosioni di comete lasciano dietro di sé elevate quantità di platino e iridio. E questi due elementi sono stati trovati in abbondanza. Il materiale è stato datato al radiocarbonio e i ricercatori hanno stabilito che l’evento abbia avuto luogo tra il 252 d.C. e il 383 d.C. I documenti storici euro/asiatici riportano che 69 comete passarono vicino alla Terra nello stesso arco temporale. Ulteriori studi sono ora in programma per avere un’idea migliore di come la pioggia di meteoriti avrebbe impattato su un’area così estesa. Sono ora in osservazione i pollini intrappolati nei sedimenti di quel periodo.SIA2069

https://www.nature.com/articles/s41598-022-05758-y.pdf

Attivisti Nativi Americani chiedono la restituzione di manufatti Sioux a un museo in Scozia

La Kelvingrove Art Gallery and Museum di Glasgow conserva nelle sue collezioni un paio di mocassini e un copricapo da bambino, e una collana di ossa di cervo appartenuta a un guerriero, che furono presi dal campo Sioux di Wounded Knee dopo il massacro del 29 dicembre 1890 ad opera dell’esercito degli Stati Uniti. Questi oggetti furono venduti al museo, nel 1892, dall’interprete di lingua Sioux George Crager, che si trovava a Glasgow con il Buffalo Bill’s Wild West Show. Il museo aveva acquistato da Crager anche una camicia utilizzata per la cerimonia della Ghost Dance che, dopo anni di trattative guidate dalla ora defunta attivista Lakota Marcella LeBeau (Cheyenne River Sioux), fu restituita alla tribù nel 1998. LeBeau era membro della Wounded Knee Survivors Association, un gruppo di discendenti dei Sioux di Wouded Knee e una figura di spicco del movimento che ancora chiede al Congresso degli Stati Uniti di revocare le medaglie d’onore assegnate ai 20 soldati che rimasero uccisi durante il massacro.

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Secondo i responsabili del museo, per ragioni sconosciute, gli altri tre oggetti non furono richiesti e rimasero a Glasgow. Tuttavia, Charles New Holy, attuale presidente dell’associazione dei sopravvissuti, afferma che LeBeau stava in realtà negoziando la restituzione di tutti gli oggetti, prima che morisse lo scorso novembre, all’età di 102 anni. Sostiene anche che la camicia da Ghost Dance e i tre oggetti ancora a Glasgow dovrebbe entrare in possesso della Wounded Knee Survivors’ Association piuttosto che del governo tribale di Pine Ridge, a cui il museo consegnò la camicia. Secondo Holy: “Quegli oggetti appartengono ai nostri nonni e nonne – il loro spirito è ancora collegato a loro – ma le persone vedono in loro prestigio e denaro. Questi sono oggetti spirituali che non dovrebbero essere esposti da nessuna parte”.

Sebbene tali casi di rimpatrio siano protetti negli Stati Uniti ai sensi del Native American Graves Protection and Repatration Act, che richiede alle istituzioni finanziate dal governo federale di inventariare le scorte di oggetti indigeni e resti umani per facilitarne la restituzione, non esiste un alcun accordo tra il governo statunitense e altri stati stranieri, lasciando alla discrezione di ciascun museo le scelte da compiere.

Screen-Shot-2022-02-14-at-11.17.30-AML’ultimo caso di restituzione degno di nota da parte di un’istituzione non statunitense ha coinvolto il Museo Karl May, un museo tedesco intitolato a un romanziere che accumulò una vasta collezione di manufatti indigeni nel XIX secolo, fra cui 17 scalpi appartenenti a membri della tribù Ojibwe. Una richiesta di restituzione fu presentata nel 2014, ma il museo ha esitato molto prima di restituire gli scalpi, temendo che ciò avrebbe costituito un precedente. Alla fine il consiglio di amministrazione del museo accettò di consegnare gli scalpi non alla tribù Ojibwe ma al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, non riconoscendo la tribù come nazione sovrana. In seguito il Dipartimento di Stato americano consegnò gli scalpi dei loro antenati agli Ojibawe non in quanto legittimi proprietari degli stessi ma solo come custodi, con facoltà di custodirli in qualunque luogo la tribù avesse deciso. La tribù li seppellì.

Nativi campioni in bicicletta

Renee Hutchens, del clan Bitterwater della Nazione Diné (Navajo), è una attivista sostenitrice delle terre native, della salute pubblica e delle questioni ambientali, della conservazione del territorio e della giustizia sociale per i popoli indigeni. Ha così raccontato il suo modo di onorare la tradizione. “La mia identità è inseparabile dalla terra che è appartenuta al mio popolo per millenni. Sono cresciuta entrando in contatto con la terra usando la bicicletta sin da bambina. Ma il mio rapporto con la terra è iniziato alla nascita quando il mio cordone ombelicale è stato sepolto nel terreno tra le nostre quattro montagne sacre che circondano la nostra patria. Per nove mesi, il mio cordone ombelicale mi ha attaccato a mia madre, ed è stato per questo percorso che sono stata nutrita, protetta e cresciuta. Mi ha legato alla vita. Quando il mio cordone ombelicale è stato seppellito, questo ha rappresentato una transizione dall’essere nutrito da mia madre a una vita di nutrimento da parte di Madre Terra. È stato stabilito un rapporto sacro per legarmi alla nostra terra sacra, Diné Bikéyah. Pertanto, mi piace dire che ero destinata ad andare in bicicletta, e ad amare e proteggere la nostra terra. L’odore di salvia e cedro lungo i sentieri che percorro è legato a ricordi, cerimonie e storie sul perché bruciamo salvia, tabacco e cedro. Quando corro in bici, sento il mio cuore batte al ritmo del battito della terra, della mia gente, proprio come ballo al battito del tamburo e delle nostre canzoni. Assaporo il mio stesso sudore e sento la pulizia, la guarigione e la calma della mia mente e ricordo l’importanza dei nostri metodi tradizionali di guarigione e l’uso delle capanne del sudore. Quello che vedo all’aperto sono montagne, canyon, colibrì, fulmini, pioggia, lucertole cornute, tracce di animali, coyote e piante. Sono tutti legati alle storie e al potere della nostra tradizione orale. Mi ricordano di rimanere sempre in contatto con i miei anziani e gli uomini di medicina della mia famiglia, i detentori di queste storie. Questa è la mia esperienza quotidiana in bicletta”.

Renee Hutchens

Renee Hutchens

Non tutti gli indiani che vivono nel sud-ovest degli Stati Uniti possiedono un cavallo, né potrebbero tenerlo, dato che molti di loro vivono in ambienti urbani. Così, per poter mantenere una stretta relazione con Madre Terra, come ben spiegato da Renee Hutchens, molti hanno iniziato a utilizzare la bicicletta e, in particolare, date le caratteristiche dei luoghi, la Mountain Bike (MTB). Ciò, naturalmente non è una prerogativa degli indiani, milioni di bianchi usano le MTB, ma è certo che per gli indiani ciò non è solo una pratica sportiva. In molte riserve, in tutti gli Stati Uniti, vengono organizzate corse in MTB anche per dare modo alle nuove generazioni di approfondire la conoscenza della loro terra e dei luoghi sacri che essa custodisce. Ma poiché non esiste solo la MTB ecco che molti giovani indiani hanno iniziato a pedalare sulle bici da strada e anche qui c’è chi ha colto l’occasione per rinverdire antichi legami.

Ricordando il Sentiero delle Lacrime

Ricordando il Sentiero delle Lacrime

Dopo una prima edizione organizzata nel 1984, che potremmo definire di prova, dal 2009 la Nazione Cherokee organizza annualmente un evento per ricordare la deportazione dell’intera tribù dalla Georgia all’Oklahoma lungo quello che divenne famoso come il “Sentiero delle Lacrime”. Durante la deportazione circa 4.000 di loro morirono di stenti. Quest’anno, 17 Cherokee, fra ragazzi e ragazze, hanno percorso in bicicletta quasi 1.600 chilometri da New Echota, in Georgia, a Tahlequah, in Oklahoma per ricordare quella immane tragedia.

Cole House

Cole House

Come in tutti gli sport, è facile che con l’aumento del numero dei praticanti possa emergere qualcuno particolarmente dotato e forse anche qualche campione. Il primo ciclista nativo americano che si è distinto a livello internazionale è stato Cole House, un membro della tribù Oneida. House ha iniziato a gareggiare sulle MTB e poi è passato alle corse su strada. All’età di 18 anni fu invitato nella squadra di ciclismo degli Stati Uniti U23 ed è stato membro di quella squadra per i successivi tre anni riuscendo anche a vincere alcune gare in Europa. E’ stato corridore professionista dal 2007 al 2016.

Shayna Powless

Shayna Powless

Lontani parenti di Cole House sono i fratelli Shayna e Neilson Powless, anch’essi membri della Nazione Oneida. Shayna è stata campionessa americana di MTB nel 2013, mentre Neilson è il primo nativo americano che abbia corso il Tour de France (2020) e a vincere una gara del circuito World Tour, la Clasica di San Sebastian, in Spagna, nel Paese Basco (2021).

Neilson Powless

Neilson Powless

 

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Gli USA vogliono proteggere i siti sacri, ma non Oak Flat.

Martedì 9 novembre scorso, otto agenzie federali degli Stati Uniti, oltre al Dipartimento degli Interni, hanno annunciato un accordo interagenzie denominato: PROTOCOLLO DI INTESA IN MERITO AL COORDINAMENTO E COLLABORAZIONE INTERAGENZIE PER LA TUTELA DEI SITI SACRI INDIGENI.

Quest’accordo ne sostituisce un altro che fu definito nel 2012. Oltre al Dipartimento degli Interni, le agenzie firmatarie sono i Dipartimenti dell’agricoltura, dei trasporti e dell’energia degli Stati Uniti, l’Agenzia per la protezione ambientale, il Consiglio della Casa Bianca per la qualità ambientale, il Consiglio consultivo per la conservazione storica e la Tennessee Valley Authority. Il Dipartimento della Difesa, che faceva parte del precedente accordo, non è più fra i firmatari.

La notizia di questo nuovo accordo è stata data a un gruppo di leader tribali, durante il vertice delle nazioni tribali della Casa Bianca, da Bryan Newland, assistente segretario per gli affari indiani dell’amministrazione Byden. Il Segretario agli Interni Deb Haaland, membro dei Laguna Pueblo, con una nota ha affermato che il Dipartimento dell’Interno è impegnato sia nella protezione dei siti sacri sia nella collaborazione con le comunità indigene per l’accesso a e l’amministrazione di tali siti.

Il nuovo accordo interagenzia prevede che le tribù siano consultate con largo anticipo durante il processo di valutazione dei progetti sui terreni federali allo scopo di incorporare la conoscenza tradizionale indigena per aiutare le agenzie a valutare l’impatto delle azioni federali sui siti sacri.

Nonostante quest’ammirevole impegno dell’amministrazione Byden, sembra che il progetto in Arizona che avrà un impatto devastante sul sito sacro di Oak Flat non sarà soggetto alla nuova direttiva. Il Dipartimento di Giustizia ha infatti sostenuto che anche la completa distruzione di Oak Flat, cosa certa se la prevista miniera di rame fosse aperta, non rappresenterebbe una violazione sostanziale della libertà religiosa degli Apache e che il governo federale ha il diritto di utilizzare le terre che controlla come meglio crede. Su questo si è in attesa di una decisione da parte della Corte d’Appello federale del 9° Circuito cui gli Apache si sono rivolti nel tentativo di proteggere il sito sacro di Oak Flat.

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La siccità salverà Oak Flat?

Durante questo 2021 abbiamo pubblicato diversi articoli relativi alla battaglia degli Apache per la salvaguardia di Oak Flat, uno dei loro luoghi sacri minacciato da un progetto di estrazione di rame. Gli Apache credono, infatti, che Oak Flat sia un “luogo benedetto” dove abitano Ga’an, guardiani o messaggeri tra la gente e Usen, il creatore.

Riprendiamo l’argomento sottolineando che, come spesso accade, la sacralità di un luogo non è ritenuta motivo sufficiente di protezione da chi ritiene che il sacro possa e debba essere confinato entro le mura di una chiesa. Ben sapendo che parlare di sacralità con chi di sacro conosce solo il denaro è spesso inutile, il Consiglio tribale della San Carlos Apache Tribe ha recentemente incaricato la società di consulenza ambientale L. Everett & Associates, che ha sede a Santa Barbara, in California, di effettuare uno studio sull’impatto che la progettata miniera di rame avrebbe sull’ambiente. Dallo studio, denominato The Proposed Resolution Copper Mine e Arizona’s Water Future, è emerso che l’enorme miniera, che verrebbe scavata sui monti Pinal, 60 miglia a est di Phoenix (Arizona), consumerebbe l’acqua sufficiente a rifornire per 40 anni una città di 140.000 persone. Si tratterebbe di migliaia di miliardi di litri di acque sotterranee sottratte agli usi civili proprio mentre l’Arizona deve affrontare riduzioni senza precedenti dell’approvvigionamento idrico di superficie causate dai cambiamenti climatici. Il potenziale massiccio prelievo di acque sotterranee necessarie per la coltivazione della miniera avverrebbe proprio quando le riserve idriche superficiali dell’Arizona vengono drasticamente ridotte. Infatti, il mese scorso, i gestori idrici federali hanno ridotto la quota d’acqua del fiume Colorado destinata all’Arizona. Questa prima riduzione colpisce principalmente gli agricoltori, ma le probabili riduzioni future colpiranno anche le aree urbane, facendo anche aumentare il costo della risorsa acqua.90

Un componente della L. Everett & Associates ha testimoniato davanti al Congresso sugli impatti profondi e di vasta portata della progettata miniera di rame sulle falde acquifere sotterranee della pianura desertica confinante con i monti Pinal. La relazione indica che i pozzi privati nella contea di Pinal si stanno già prosciugando a causa della siccità e ha sottolineato la gravità degli impatti che ciò sta già avendo sulla Tonto National Forest e sulle falde acquifere nelle vicinanze del sito della miniera. Inoltre la miniera esaurirebbe la falda acquifera di Apache Tuff che rifornisce i torrenti della zona. E poiché, come per tutte le operazioni minerarie in Arizona, anche questa miniera sarebbe esente dalle normative statali sul prelievo delle acque sotterranee, la miniera potrebbe teoricamente pompare una quantità d’acqua illimitata.

A questo punto gli Apache sperano che la proposta di legge denominata Save Oak Flat Act sia approvata dalla Camera dei Rappresentanti al più presto. Nell’attesa gli attivisti di Apache Stronghold, un’organizzazione no-profit che lavora per proteggere il sito sacro di Oak Flat, stanno preparando un convoglio spirituale diretto a San Francisco, dove un tribunale ascolterà un appello che il gruppo ha presentato per impedire che la terra di Oak Flat sia trasferita alla Resolution Copper, la società di proprietà del gigante minerario anglo-australiano Rio Tinto che è interessata allo sviluppo della miniera di rame. I membri di Apache Stronghold prenderanno parte sabato 9 ottobre a una giornata di preghiera a Oak Flat prima di incontrare i leader della Tohono O’odham Nation, che offriranno una benedizione e una preghiera per il loro viaggio che inizierà il 13 ottobre ed effettuerà diverse soste per incontrare le comunità dei nativi americani e i leader religiosi dei Salt River Pima-Maricopa, vicino a Phoenix; dei Wishotoyo Chumash, nella regione di Los Angeles; e la colonia indiana Elem degli indiani Pomo; prima dell’udienza californiana del 22 ottobre.AP4476325276530220